Fano, riflessioni in occasione della conferenza sulla Chiesa negli anni ’60
“Chiesa senza Chiesa” e “no futuro”, mi si consentano le espressioni piuttosto forti: desidero lanciare queste due provocazioni su quelle iniziative di grande spessore e significato che sono state le conferenze sulla Chiesa negli anni ’60 (28 e 29 giugno scorsi), nell’ambito della settimana che l’Assessorato alla Cultura del Comune di Fano ha dedicato a quel decennio.
Due conferenze con testimonianze vibranti sui sogni, le scelte, i problemi, gli avvenimenti che hanno segnato in quegli anni la vita della Chiesa Cattolica, anche in relazione al mondo di quel tempo, nella prospettiva di fondare il nostro oggi, così problematico e confuso.
Ma non c’era alcun rappresentante di coloro che oggi sono i responsabili della chiesa fanese, dal vescovo in giù. E contemporaneamente non c’è stato alcun giovane, nemmeno tra i numerosi giovani credenti che affollano tante iniziative ecclesiali.
A mio parere, queste assenze (non che anche gli adulti siano stati troppo numerosi!) non sono problematiche tanto o soltanto nella occasione delle due conferenze, ma piuttosto perché rispecchiano una situazione generale, cioè lo scollamento tra l’ambiente dei credenti cristiani e le iniziative della società civile. La legittima autonomia dei due ambiti è interpretata a Fano come un reciproco ignorarsi, fatta eccezione per qualche occasione ufficiale.
In modo tutto particolare denuncio con forza (come faccio da tempo) la quasi totale assenza di iniziative di riflessione e confronto sul fatto cristiano e la quasi totale non partecipazione a quelle pochissime che si attuano. La vita di fede viene vissuta in forme quasi esclusivamente legate ai riti oppure, nella migliore delle ipotesi, all’interno di associazioni e movimenti che fortunatamente esistono anche a Fano.
Eppure dal Concilio in poi la dottrina della Chiesa chiede un forte impegno dei laici sia nella comunità religiosa che in quella civile. E senza una fitta rete di incontri, di conoscenza e di dialogo, il fatto cristiano finirà per essere al di fuori della coscienza e dell’impegno della maggior parte sia dei credenti che dei cittadini.
Forse è ora di gettare qualcuno di quei “ponti” di incontro, di ascolto, di collaborazione che auspicava il nostro vescovo due anni e mezzo fa nella sua prima lettera pastorale? Le feste, sia religiose che civili, sono belle, ma non credo che bastino a motivare una convivenza civile chiamata oggi a “rifondare” la vita nell’una e nell’altra comunità.
da Primo Ciarlantini
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