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Intervista Silvio Orlando: a vent’anni di distanza torna nei teatri ‘La scuola’

"Che la scuola sia un grande processo civile di crescita comune"

Silvio Orlando

La scuola, spettacolo cult del 1992 con Silvio Orlando, antesignano di tutto il filone di ambientazione scolastica tra cui anche la trasposizione cinematografica del 1995 della stessa pièce, uno dei rari casi in cui il cinema accolse un successo teatrale e non viceversa.

Lo stesso attore al riguardo l’ha definito come una tappa fondamentale della sua carriera: “Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario, entusiasmante, con una forte presa sul pubblico”. A vent’anni di distanza è davvero interessante fare un bilancio sulla scuola e vedere cos’è successo poi. Abbiamo intervistato Orlando prima delle tappe pesaresi della pièce parlando di scuola appunto, di teatro e di cosa è successo in questi vent’anni…

Sta tornando “La Scuola”: prima fu il libro di Starnone, poi il teatro, poi la trasposizione in celluloide ed oggi, in ultimo, ancora a teatro: come è cambiato in vent’anni questo spettacolo e come è cambiato anche Silvio Orlando?

E’ cambiato tutto, siamo cambiati noi, è cambiata la scuola e anche il teatro: spero che dentro lo spettacolo ci sia tutto questo percorso, sia come attore che come ‘capocomico’. Questo spettacolo poi è frutto di una scelta ed una volontà personale: quella di riportarlo in scena nella doppia veste di produttore. Nonostante questi cambiamenti necessari e naturali ho voluto riportare in teatro esattamente lo stesso spirito di vent’anni fa. A distanza di anni continuo a ricordare sempre con uno straordinario affetto questo spettacolo che, all’epoca, mi era sembrato quasi una cosa “normale”. Solo dopo ho capito quanto fosse speciale.

Nello spettacolo andato in scena vent’anni fa, e anche nel film, si raccontava di una scuola figlia per certi versi degli anni ‘60/70, una cartolina estremamente realistica: esiste ancora quella scuola che portate sul palcoscenico?

Ci sono alcuni elementi della dinamica scolastica che sono un po’ eterni. Mi riferisco ad esempio al ruolo della didattica scolastica, il dibattito sul ruolo che deve avere: deve solamente formare professionisti di elite culturale oppure deve essere contenuta in un grande processo civile di crescita comune? Su queste due velocità, su queste due grandi dinamiche si dibatte da anni: da una parte c’è chi sostiene una scuola più chiusa, più meritocratica che escluda chi non riesce a stare al passo dei primi e chi invece la intende come un ascensore sociale, un luogo di grande livellamento sociale.

La figura del Professore è oramai un classico dl suo repertorio: le cito ad esempio Il Portaborse di Luchetti, Il Papà di Giovanna di Avati o Palombella Rossa di Moretti: il ruolo dell’educatore le calza a pennello; se non fosse stato un attore sarebbe stato un insegnante magari?

Sarebbe stata una bella alternativa; ho parenti e persone vicine che hanno intrapreso questa professione ed ho potuto vedere come sia una vocazione che può rendere felici; ho riscontrato in loro, dopo tanti anni di servizio, un amore nel loro lavoro che non è comune a tutte le professioni… per cui, si! Sarebbe stata una delle strade che avrei potuto praticare. Poi la scuola è sempre un luogo un po’ magico, sospeso, per certi versi sempre uguale a se stessa…forse per questo lo spettacolo continua ad avere tutto questo successo.

Qual è il segreto della longevità di questa storia? Oltre ad essere stato il primo spettacolo che trattava la scuola sdoganandola dalle commedie italiane di quegli anni.

Il segreto? Si tratta di una macchina teatrale perfetta: l’abbiamo tenuta in garage per vent’anni, abbiamo inserito le chiavi ed è ripartita subito. Merito nostro, di Starnone che, nonostante non sia mai stato un drammaturgo, ha messo nero su bianco una narrazione perfetta; prezioso anche il nostro lavoro perché in queste due edizioni abbiamo aggiunto sfumature, malinconie e sfaccettature sempre nuove…uno spettacolo che è cresciuto con noi!

E che alunno era Silvio Orlando invece?

Ero molto presente: magari non un grande studioso ma mi davo da fare per vie tangenziali proponendo musica e teatro; già mi stavo avviando in quello che avrei fatto in seguito. Non ero un alunno particolarmente meritevole ma avevo un mio senso nelle dinamiche scolastiche.

La figura di Cardini, l’incompreso, l’ultimo, toglie il velo su quella dicotomia scolastica a cui faceva riferimento prima: ovvero, coloro che vorrebbero questa istituzione come un ascensore sociale e quelli che la vorrebbero invece come una fucina di preparazione professionale; la scuola di oggi secondo lei in che direzione sta andando?

Credo che la tendenza sia “pre” anni ’70: ovvero una scuola che torna ad essere una ratifica delle differenze sociali; chi nasce figlio di avvocato sarà avvocato, chi figlio di ingegnere sarà ingegnere. Al contrario, il figlio del disoccupato …. sarà disoccupato … tutto questo è anche conseguenza dell’aria politica che si respira. Anche la geografia urbana va verso questa differenziazione sempre più marcata: i ricchi tutti nei quartieri dei ricchi, i poveri in agglomerati di periferia: stiamo tornando indietro. Due mondi sempre più distanti che non si incontreranno più: si perde così un arricchimento reciproco. C’è stato un tempo in cui questi due universi dialogavano, soprattutto a scuola. Per certi versi è una metafora del teatro stesso: il teatro deve decidere come comportarsi con i vari Cardini: se essere espressione solo di certe élite culturali molto esigenti o essere invece inclusivo e tornare ad essere quella fucina di dibattito che era un tempo. Anche qua si ripropone il tema di “cosa ce ne facciamo degli ultimi scolari?”, del Cardini teatrale, colui che magari non è mai stato a teatro o non ha mai letto un libro. Gli vogliamo dire “Il teatro non è roba per voi” oppure cerchiamo di allargare i nostri orizzonti?

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