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Il pastore ed il suo gregge. Note sul caso fanese e l’omertà nella Chiesa

Tratto dal blog “Femminismi

Non vedo, non sento, non parlo - omertàDalla promulgazione della lettera De delictis gravioribus, nel 2001, redatta dalla Congregazione per la dottrina della fede a firma Joseph Ratzinger, il mondo si è chiesto cosa impedisse alla Chiesa cattolica una collaborazione più piena con le autorità giudiziarie al fine di perseguire i reati di abuso su minori.


La risposta sta nella ostinazione con cui, sia col Diritto canonico del 1983 che poi con questo aggiornamento riguardo gli abusi sessuali, viene difeso il privilegio ecclesiale di giudicare i reati commessi dal clero attraverso i propri tribunali, e non solo i reati attinenti la pedofilia, notiamo quanto anche in questi ultimi decenni sia stata forte la resistenza e l’omertà anche di fronte a tragedie come quella di Roberto Calvi, di Emanuela Orlandi, e ai recenti scandali finanziari per i quali il papato rischia una grave crisi interna ma sta comunque evitando di essere sottoposto all’autorità giudiziaria italiana.

L’atteggiamento della Chiesa sui reati connessi alla pedofilia, ribadito nel documento del 2001 (dapprima riservato e scritto in solo latino) che prevedeva una vaga e non obbligatoria “collaborazione” con le autorità giudiziarie civili, ha contribuito in questi anni a coprire una sterminata quantità di casi di gravi abusi sessuali compiuti sia in ambienti religiosi che al di fuori di essi, come nel caso dell’abuso su minore a Fano.

Dobbiamo pensare al grave atteggiamento dei tribunali religiosi che prevedono che il giudizio su questi casi si svolga senza nessun obbligo di riferire alle autorità civili. Possiamo immaginare quanto un Tribunale ecclesiastico, che moralmente si rifà alle convinzioni fortemente maschiliste e sessuofobiche presenti nel cattolicesimo canonico, possa servire il punto di vista del giudicato, integrato nella istituzione-Chiesa e ad essa obbediente, invece che quello della vittima, soprattutto se donna!

Non è certo un caso che il parroco di Fano arrestato per abuso su minore fosse precedentemente noto alla stampa per una lettera infamatoria spedita ai famigliari della vittima di violenza sessuale del’estate del 2011, nella quale ricercava le “colpe” della ragazza, che rischiava di essere definita all’opinione pubblica come una “lolita” compiacente, forse proprio come quella la cui “compiacenza” lui stesso cercava di suscitare sulla spiaggia.

Non è nemmeno un caso che, mentre il dibattito sulla sessualità all’interno della Chiesa resta relegato ai margini, il clero più reazionario si spinga in attacchi a quelli che a suo dire sarebbero i “costumi immorali” degli italiani, un modo facile per additare la pagliuzza nell’occhio altrui e non mostrare il grave problema della repressione sessuale, e del maschilismo più retrivo, nel clero.

E’ abbastanza stupefacente invece che molti non vogliano vedere le gravi responsabilità morali della Curia fanese non solo dopo il fatto della lettera del 2011, visto che il comportamento di questo parroco, così a suo agio nel battere il litorale, non sembra certo un “raptus” momentaneo bensì una collaudata abitudine. Non è vero forse che il pastore deve non punire “dopo” le pecorelle, ma sorvegliarle attentamente prima?

Circa la visione distorta che un quarantenne sessualmente immaturo può avere rispetto ad una ragazza tredicenne, il mito della “lolita” sicura e compiacente è proprio quello che vediamo costruito spesso nei tribunali per giustificare il molestatore. Ma è il passaggio da bambina a ragazzina è la molla che fa scattare in queste persone l’attenzione verso caratteristiche sessuali che ancora non sono di un individuo in grado di rapportarsi in maniera adulta, e quindi alla pari, con loro. E’ un rapporto di potere che viene dunque messo in scena con l’abuso, un abuso dal quale la minore non può difendersi soprattutto se attuato da persone che agiscono ammantate da quella aura di autorevolezza di cui il clero è abile attore.

Anche ora, nel maggio del 2012, le ‘Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici’ confermano la segretezza e l’omertà e sono state approvate dalla CEI senza il coinvolgimento di alcun interlocutore, e dai settori più marginali della Chiesa di levano voci di protesta: “Il testo ricorda che il vescovo non è tenuto, in base alla legge italiana, a deferire il prete accusato all’autorità giudiziaria. Lo sapevamo già. … ovunque nelle nostre diocesi, è stata prassi consolidata quella di “coprire” i colpevoli e l’istituzione-Chiesa, con ben scarso interesse per le vittime. … Amareggiati come ci è capitato raramente di esserlo, non ci resta che sperare che la nostra magistratura applichi con rigore il secondo comma dell’art. 40 del codice penale là dove recita : “Non impedire un reato, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” e che, a questo titolo, si proceda nei confronti dei vescovi, ogni volta che ce ne siano le condizioni oggettive.” Questo è l’accorato parere, diffuso qualche settimana fa da Noi siamo chiesa, con cui non possiamo che solidarizzare.

da Francesca Palazzi Arduini
Tratto dal blog: “Femminismi

Redazione Pesaro Notizie
Pubblicato Lunedì 16 luglio, 2012 
alle ore 14:32
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