Intervista a Paolo Panizza, il regista di ‘La traviata’ in programma al Teatro Rossini
Intervista al regista della Traviata che andrà in scena giovedì 13 gennaio al Teatro Rossini di Pesaro
Come ha cominciato Paolo Panizza la sua attività di regista d’opera? Io sono nato a Verona ed è quasi d’obbligo per gli studenti veronesi partecipare come figuranti alle stagioni dell’Arena. Già a 13 anni ho avuto la fortuna di mettere piede in palcoscenico ed è stato un amore a prima vista.
Era il 1976. In Arena sono poi cresciuto professionalmente, tra gli studi classici e teatrali, fino ad entrare nell’Ufficio Regia nei primi anni ’90. Dopo la grande esperienza maturata a fianco di tutti i più grandi registi d’opera, ho deciso di fare la carriera e di propormi come artefice di questo magico mondo.
Lei è stato anche collaboratore del Maestro Pier Luigi Pizzi? Il Maestro Pizzi ha un ruolo fondamentale nella mia vita artistica. Si pensi che lo conobbi nel 1978! Ho cominciato a collaborare professionalmente con lui nel 1984 e da allora… non ho ancora smesso. Infatti, anche se si sono diradati gli impegni con lui, è per me sempre un piacere poterlo assistere, se ne troviamo il modo. Sarò, per esempio, con lui nel prossimo marzo ad Atene per la ripresa della Maria Stuarda de La Scala.
Pizzi ha lavorato tantissimo qui a Pesaro e io ci sono venuto come collaboratore per il suo primo Otello e per La Pietra del Paragone. E’ un piacere tornarci da regista visto che manco dal 2002. Da Pizzi ho cercato d’imparare soprattutto il rigore, l’eleganza e il senso del racconto, ma cerco la mia strada in modo naturale senza ricalcare necessariamente la sua. Anche perché parliamo di un fuoriclasse.
Ci parli della sua Traviata. E’ nata quest’anno la collaborazione con l’Associazione Praeludium e un titolo che interessava era proprio La Traviata, opera con la quale mi ero appena cimentato al Donizetti di Bergamo e in una lunga trasferta in Giappone con Mariella Devia. Alcune idee e intenzioni già sperimentate le ho portate anche in questo allestimento, puntando molto sulla chiarezza dell’intreccio, sui rapporti estremamente attuali dei personaggi, nel pieno rispetto del libretto e della musica.
Non amo le stravaganze fini a sé stesse e mi piace lavorare in armonia con il compositore per esaltare ciò che già la musica esprime a meraviglia. Un dramma borghese come Traviata mi piace leggerlo nei contrasti tragici e ironici che Verdi ha fatto coesistere nel libretto, nei parallelismi tra le feste e la morte, tra il Carnevale del corpo e l’Inferno dell’anima.
Perché la scelta dello stile Art Déco?Non è solo una scelta estetica. E’ una scelta decadente. Nell’Art Déco vedo la ricerca della bellezza da un lato, la voglia di vivere ed esagerare dopo la prima grande guerra, ma anche un senso di vuoto e di smarrimento che l’estetica da sola non può colmare.
Siamo prossimi alla Grande Depressione… Anche i bellissimi costumi di Artemio Cabassi mi aiutano nel dare una linea a questa sfrenata ricerca dell’apparire di quella società, ma Violetta, come sappiamo, non riuscirà ad indossare il suo ultimo abito, a tornare nel guscio falso e rassicurante di quella borghesia, perché ormai ha scoperto l’amore al prezzo della vita.
Nell’Art Decò poi la donna è esaltata, come figura e come affermazione del ruolo; sono i primi anni di leggera emancipazione, di autodeterminazione: c’è molto più di quello che non sembri a uno sguardo superficiale. E’ inoltre l’ultima epoca utile per avvicinare ancor di più Violetta a noi, senza tradire un libretto che parla ancora di calesse e duelli. La logica per me è importante, anche se il nostro lavoro è di nasconderla dietro le emozioni.
da Francesco Pellegrini
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